Si chiamano “alternative data” e con questa definizione si intendono tutti quei dati raccolti online, strutturati e non, che possono integrare le tradizionali informazioni utilizzate per valutare investimenti, strategie o il merito di credito di un’azienda. Si applicano a diverse industry, settore finanziario incluso.
Strumenti d’indagine Open Source Intelligence
Internet o qualsiasi altro strumento che renda disponibile e accessibile una informazione sono contenitori inesauribile, caotici, ridondanti che se non sono rigorosamente studiati e analizzati creano dubbi piuttosto che certezze.
OSINT non è una mera ricerca di informazioni sul Web, alla base dell’analisi Open Source Intelligence, vi è l’analista non lo strumento software.
Parimenti lo sono tutti quei Software che si presentano sul mercato come strumenti OSINT, oggi tanto diffusi, che hanno portato gli utenti a pensare che con pochi minuti di affannata ricerca, la parola chiave giusta sulla barra di ricerca, si possa trovare la risposta a tutto.
Molto pericoloso potrebbe essere, a livello aziendale, fare delle scelte strategiche sulla base di queste convinzioni.
Lo strumento può essere utilizzato per delle ricerche specifiche quando è già stato possibile delimitare un’area precisa e specifica di ricerca ma considerando che l’analisi OSINT è condivisione e interdisciplinarietà è pressoché impossibile svolgere analisi OSINT esclusivamente facendo affidamento su strumenti software o cosiddetti Tools.
Chi è il potenziale maggior contributor di questo mercato?
Gli hedge fund, i gestori di private equity e di fondi pensione, le compagnie assicurative, le Sgr e non in ultimo le banche e le fintech, e cioè soggetti inclini a raccogliere e ad analizzare dati per ricavarne intuizioni predittive.
Il dato al centro di tutto, insomma, perché se è vero che il tradizionale dataset finanziario è a disposizione di tutti gli operatori, quella stessa base dati non è oggi sufficiente (in vari casi almeno) a rispondere alle mutate esigenze di comprensione del rischio. Gli “alternative data”, rappresentati in larghissima misura da contenuti conversazionali (social post, blog, news, commenti), possono quindi riempire questo buco nei processi di “scoring” proprio perché in grado di dare supporto a chi deve mitigare i rischi legati a prestiti e investimenti in modalità data driven.
La logica che li rende appetibili per il mondo bancario è presto riassunta: non sostituiscono i classici strumenti di valutazione (bilanci, rendiconti finanziari, dichiarazioni dei redditi e punteggi di credito), ma li arricchiscono e li completano, combinandosi e integrandosi con essi.
Unire alle informazioni di natura finanziaria i dati che misurano la reputazione online di un’azienda, in altre parole, può fornire indicazioni utili su quanto questa possa essere effettivamente sana e quale sia il suo reale potenziale di crescita.
Analisi Semantiche
I parametri di riferimento per le analisi semantiche sono di fatto due: la popolarità e il sentiment, e cioè quanto si parla di un’azienda e come se ne parla. La brand reputation diventa un elemento predittivo che va ad integrare i criteri di valutazione ufficiali necessari per accordare un prestito o per decidere un investimento. L’idea di industrializzare il modello degli “alternative data” nasce non a caso, quando una grande banca chiese i dati di sentiment di strutture ricettive e ristoranti per capire se quel dato fosse collegato alle entrate e fosse di conseguenza utile a corroborare i rating.
I dati alternativi sono impiegati per “ispezionare” la traccia sociale, l’intensità della presenza online e i canali di comunicazione di un’azienda e si aggiungono ai parametri di antiriciclaggio e di credit risk fissati dalle banche.